“Il 7 agosto del 1974 il funambolo francese Philippe Petit camminò in equilibrio su un cavo metallico teso tra le Torri Gemelle del World Trade Center, ancora non del tutto terminate, a New York”.
Leggi tutto “… in equilibrio”Gabbo Takes
“Max e tu quando lo scrivi un libro?”
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Goin’ Cali pt. 2
Goin‘ Cali pt. 1
NYC part 2
Leaving New York
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Jetlag Player is coming to Town
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Freefolk & Free Words pt. 12
Come un funambolo in equilibrio sul filo, recitava il titolo di una mia tesi sulla Solo Performance. Correva l’anno 2011 e presto o tardi verrà pubblicata in un libro.
L’ultima volta che ho suonato in solo per il Peperoncino Jazz Festival accadde esattamente dieci anni fa, l’uno agosto.
Ricordo benissimo quell’episodio per una serie di motivazioni che vanno dalla bellezza del posto, il castello di Santa Severina (Cz), alla disponibilità di Sergio Gimigliano il quale correndo il rischio di programmare un concerto in solo, formula che trova sovente ostacoli in un pubblico spesso poco curioso di fronte l’ignoto – forse anche per una scarsa attitudine al rischio degli organizzatori – dimostrò sul campo la stima nei miei confronti.
Lo ricordo sopratutto per le discussioni e gli sfottò, post concerto, di mia sorella e del compagno che mi imputarono un certo intellettualismo di facciata, per usare un’espressione meno colorita di quelle usate a quel tempo.
Inutili furono i tentativi e le spiegazioni addotte da me. Provai a far comprendere che l’onestà intellettuale di chi decide di sperimentare con la musica o, come nel mio caso, chi sceglie di affrontare perfòrmance libere, cioè partendo alla cieca, senza materiale predefinito a là carte, si vede proprio nel momento in cui durante il concerto ci si potrebbe smarrire, risultando poco intellegibili e perciò rischiando di interrompere il filo di connessione con il pubblico.
A nulla valsero gli innumerevoli esempi e la ricca discografia in tal senso.
Ma perché ti ostini a fare il difficile quando invece hai delle belle composizioni da far ascoltare? Mi disse mia sorella.
Non ci fu verso: restarono della loro idea. Io della mia.
L’episodio “Santa Severina” fu una della tante fermate di questo mio viaggio in solo iniziato nel 1998 che dura ancora e si è arricchito di una serie di dischi, l’ultimo dei quali è “Freefolk – Songs & Instant Compositions” in cui sono entrate tutte le esperienze raccolte, frutto di incontri, riflessioni, composizioni e libere improvvisazioni.
Continuo caparbiamente a camminare sul filo, in equilibrio, come Petit nei cieli di New York nell’agosto del ’74.
Difendo esteticamente la pratica dell’improvvisazione libera, a volte chiamata Instant Composition, laddove viene affrontata con onestà intellettuale e non come mero sfoggio intellettualistico e manierista di stranezze. Mi piace addentrarmi in territori inesplorati, lasciarmi attraversare dall’energia propria dello spazio circostante, correre il rischio di perdermi ma sopratutto suonare le mie composizioni multiformi e sempre cangianti.
Sono molto felice pertanto, che il mio concerto di oggi rientri negli eventi 2022 del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano e quasi certo che le mie canzoni senza testo riceveranno la giusta attenzione, nutrendosi dell’energia che la Riserva Naturale mi regalerà.
Alle 17:30 dal vivo ai Giganti del Fallistro (Croce di Magara, Sila – Cs).
“Chi vuol esser lieto sia”
Fate i bravi,
mg
Foto: Claudio Valerio
Freefolk & Free Words pt. 11
Freefolk & Free Words pt.11
Qualche giorno fa Joni Mitchell si è esibita dal vivo, non accadeva da più di venti anni, al Newport Folk Festival e i video che circolano in rete, alcuni dei quali visti stamattina, ci restituiscono tutta la magnificenza di una ccompositrice, musicista, pittrice che come pochi altri artisti riesce a scavare nel profondo.
Una delle poche personalità che è impossibile collocare nelle scatole del genere.
Ci sono a, b, c… uno fa jazz, una folk, uno rock.
Poi c’è Joni. Punto.
Solo lei, in alto.
Stamattina mi sono ritrovato a pensare a quanto la sua figura sia stata fondamentale per l’arte e per la crescita di tanti che hanno scelto la strada della musica, io tra essi.
Se guardo indietro al sedicenne che fui, mi rivedo ancora brancolante di fronte le sigle degli accordi letti su un libro che ancora conservo. Suonavo cercando di riproporre alcune sue canzoni e quelle posizioni non mi restituivano la magia fatta di risonanze e battimenti sublimi che fuoriusciva dal mangianastri.
Molto tempo dopo scoprii il mondo delle accordature alternative e tutto si chiarì, almeno in teoria.
Compresi quanto Joni Mitchell – che nel frattempo mi aveva introdotto a Pat Metheny, Jaco Pastorius, Wayne Shorter, a Larry Carlton e all’uso che questi faceva del pedale del volume nel disco Hejira – abbia influenzato in-direttamente l’universo della chitarra acustica e il mio stesso modo di usarla.
Bello che cresciuto ritrovai tutto lo spirito di Joni nella musica e nell’uso delle accordature di Michael Hedges.
Sarà per il fattore H che considero Hedges al pari di Hendrix quanto a rivoluzione chitarristica.
O potrebbe essere il fattore Left Hand – Hedges lo era benché suonasse da destro, di Hendrix si sa.
Io seppur mancino fatico a star loro dietro, ma questa è un’altra storia.
Senza Joni Mitchell sono convinto che tanta musica non sarebbe stata come fu e come è.
Anche la mia.
Questa è un’improvvisazione ispirata a lei registrata mentre cerco di sciogliere il dubbio se portare anche attrezzatura elettronica o soltanto i miei 4 strumenti a corde al concerto del 30 luglio sotto i Giganti della Sila.
Buon ascolto e grazie ancora Joni.
Fate i bravi.
mg